Non ascoltavo (solo) metal #2: On a Wire

Nel 2002 il mio rapporto con l’emo-core era già in fase calante. Non perché non mi piacesse più, ma piuttosto perché ero entrato nell’anno dell’amore folle e devastante per il punkrock ramonesiano. Un amore cieco e sordo, una sorta di fede manichea per cui tutto ciò che era punkrock sì, tutto il resto no. Quindi chiodo in vera pelle pagato una madonna, jeans color jeans strappati (malamente) sulle ginocchia e inevitabili Converse ai piedi. Tutto questo per aderire agli strettissimi canoni del mondo punkrock, canoni che tra l’altro non interessavano a nessuno ma che sembravano doverosi per poter dire di amare davvero i Ramones.

A vent’anni si è stupidi davvero? Direi proprio di sì.

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Avere vent’anni #2: CALIFORNICATION

Estate 1999, Cesenatico.
Piscina dell’hotel perché il Mar Adriatico era poco amato dai miei e comunque non è che sia mai stato degno di un atollo tropicale a prescindere.
Non so quante musicassette avessi con me, ma ascoltai “Californication” per tutta l’estate.
Ancora faccio fatica a spiegarmelo.

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Album del mese: Action Dead Mouse – Il contrario di annegare

C’è una cosa degli Action Dead Mouse che mi ha molto colpito: non hanno una pagina Instagram (Facebook sì però, li cliccate qui)
C’è un’altra cosa che mi colpisce: gli Action Dead Mouse sono in giro da un po’. Una decina d’anni. Anni in cui hanno fatto quello che volevano: plettrate vigorose sulle corde di una Telecaster, sopra loop di plettrate vagamente meno vigorose sulle corde di una Telecaster, sopra loop di plettrate vagamente meno vigorose sulle corde di una Telecaster e così via. Dieci anni o giù di lì. Anni in cui la musica italiana è cambiata del tutto o del niente, ma loro sempre lì, nell’angolino del post-qualcosa. A dimostrazione che i trend sono affari da meteore, e che quando il post-qualcosa diventa tendenza allora è post-qualcos’altro e non dura per davvero.

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Non ascoltavo (solo) metal #1: Smash

Ricordo ancora molto bene la prima volta che ho sentito parlare di punk. Era alle macchinette automatiche delle bevande nel corridoio un po’ triste e molto squallido del liceo, in prima superiore (o quarta ginnasio se siete di quelli che tengono a questa distinzione un po’ rétro). Due o tre compagni di scuola parlavano di punk e metal e io, che ieri come oggi ero schivo, patologicamente asociale ma assai curioso, fremevo dalla voglia di capirne di più. Anche perché i miei ascolti fino a quel momento oscillavano tra Sottotono, Articolo 31 e le cassette di rock-folk- pop-beat di mio padre risalenti agli anni ormai già lontani della sua gioventù. Alla quarta volta che qualcuno diceva che il punk era davvero troppo figo presi il coraggio a due mani e chiesi, molto timidamente, che cosa fosse il punk (sic!). La risposta fu molto concisa e un filino fredda: è come il metal ma con le chitarre meno brabrabrang e più veloce. L’informazione non mi fu molto utile considerando che la cosa più metal che avevo sentito in quel momento era forse “Nine Lives” degli Aerosmith (che rimane in ogni caso un bel disco). Ringraziai e me ne tornai in classe a bere il mio thè freddo alla pesca, capendo al contempo che non sarei mai stato il più popolare del liceo e che di musica non ne sapevo davvero nulla.

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Avere vent’anni #1: UP

Gli anni delle medie sono stati uno schifo.
Non ero più del tutto un bambino, non ero ancora neanche lontanamente un ragazzo.
Non ho frequentato una scuola facile, tra figli di galeotti e gente che la gattabuia l’avrebbe assaggiata in prima persona solo pochi anni dopo.
Nella confusione che regnava sovrana dentro di me, mi sono ritrovato all’interno di un branco animato da dinamiche vergognose: bullismo, intimidazione psicologica continua e di bassissimo livello nei confronti dei compagni esterni al suddetto branco, sudditanza nei confronti di un fantomatico “capo” che si è poi rivelato essere il più grande coglione mai incontrato.
Uno capace di passare (seriamente) dall’acquisto della bandiera del Che in gita di terza media a Venezia a una foto profilo raffigurante un gerarca nazista sul neonato Facebook.

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Lo conosci Vigone?

Gianluca Vigone trasforma il legno, lo fa diventare una mano piccola piccola che puoi stringerla in tasca oppure un pavimento che puoi correrci sopra. E le sue dita sono così grosse che quando prende in mano la sua chitarra pensi che vorresti ridere e che forse ora la schiaccia e trasforma pure quella.
E il fatto che non la sappia suonare alla fine non conta niente, a guardarlo impegnarsi così tanto hai già capito cosa avrebbe voluto fare. Ed è con quel collegamento mentale che Gianluca sta trasformando anche te.
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Nei festival si dorme poco: la prima volta di Dotto e i Lady Ubuntu

Signore se esistessi non sentirei più il ritmo orrendo del pensiero che si avvitaè questo il titolo dell’album dei Lady Ubuntu che abbiamo deciso di co-produrre insieme ai ragazzi di Cloudhead-Records. Esce il 26 gennaio, ma oggi lo si ascolta in anteprima streaming su Rumore.
Potremmo elencarvi i titoli matti di queste canzoni, dirvi che assomigliano un po’ a questo e un po’ a quello, copia-incollarvi il curriculum vitae della band o disquisire sulla barba di Frank.
Invece vi raccontiamo di quella volta in cui Andrea li scoprì prima di noi in quel della Repubblica Indipendente di Lu e finì per inondarci di messaggi whatsapp pieni di punti esclamativi.

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