D’altra parte è innegabile che ci sia una “questione”, ma la questione c’è da migliaia di anni. Non so. Forse cercherei da una parte di chiedere alle donne quello che chiederesti a un uomo, ad un artista, a una persona. Poi, se si vogliono indagare temi specifici, indagarli con rispetto, attenzione, curiosità, onestà. E, soprattutto, indagarli con gli uomini! Perché le domande sulla questione femminile vengono sempre fatte alle donne? Il problema non è delle donne, è di tutti. Come è di tutti il problema del razzismo, ad esempio, o di qualsiasi discriminazione. Chiedete agli artisti uomini cosa ne pensano. Chiedete di parlare, di prendere una posizione a chi certe cose non le subisce. Mettete gli uomini davanti a queste riflessioni, con decisione, con serietà, esigendo serietà e riflessione. Vediamo quanti si schierano, vediamo chi sono questi artisti, vediamo chi liquida la faccenda con battutine sessiste da terza elementare e vediamo quanti vivono la questione con auto critica. Penso che il lavoro più grande è quello da fare insieme.
L’idea di Together è nata prima dell’estate, anche dopo aver letto diversi articoli – come questo di Vice – che ritraggono una netta predominanza maschile nei cartelloni dei festival estivi italiani. Allo stesso tempo, guardando al di fuori dello stivale e prendendo come esempio gli Stati Uniti, ci sembra che le donne abbiano uno spazio di tutto rispetto sia nell’industria discografia mainstream che in quella più underground. Di recente siamo stati al Tutto Molto Bello, torneo di calcetto delle etichette indipendenti con squadre popolate da membri di band e anche qui la percentuale femminile era abbastanza risibile. Eppure non c’è scritto da nessuna parte che il calcio è uno sport maschile. Il problema è nostro, culturale italiano?
Probabilmente, ma ovviamente non è solo nostro. Il patriarcato c’è da almeno 2000 anni, si è convenientemente associato a varie religioni monoteiste e ai sistemi economici industriali e capitalisti per assicurarsi una lunghissima durata ed efficienza. La cultura dello ‘stupro’, che sia lo stupro delle donne, dell’ambiente, degli animali, dei bambini, dei deboli è radicata e ramificata tra occidente e oriente con poche isole felici.
Da nessuna parte sta scritto niente. Il problema è voler scrivere per forza qualcosa, normalizzare, etichettare, imprigionare, controllare. Jorge Drexler dice in una canzone, “se vuoi uccidere qualcosa fermalo”. La libertà, la vita sono movimento, cambiamento, cicli di vita e di morte. In Italia di problemi culturali ne abbiamo diversi, come in tante altre parti di mondo. Sicuramente siamo più indietro di alcuni e più avanti di altri (pochi!). Ricordatevi che molti giornalisti musicali internazionali parlano ancora di Bjork come una che si fa aiutare dai maschietti per fare i suoni nei suoi dischi. Non c’è niente di più falso ed è Bjork, non pinco pallina. Sicuramente in vari posti stanno più avanti di noi ma gli stronzi (scusate il francesismo!) stanno sempre dietro l’angolo. Ma anche le persone intelligenti, grazie a dio. Cerchiamoci, parliamoci, stiamo uniti.
In un mondo utopico, il tuo “lavoro” dovrebbe essere quello di scrivere canzoni e portarle in giro. Ma sappiamo che non sempre è così e che l’affitto va pagato mensilmente. Cosa fai di altro?
Diciamo che per ora sono stata fortunata, per ora posso dire che faccio questo. Ma la situazione non è affatto rosea.
Essere musicisti è una fatica anche per mille altri motivi e ne sappiamo qualcosa anche noi. Spesso è difficile accettare critiche e giudizi. Hai mai ricevuto qualche commento negativo che si è rivelato costruttivo per la tua musica?
Se pensi che uno non valga niente non ti metti a dargli consigli su come migliorare. Se vedi qualcosa in qualcuno invece ti viene spontaneo criticare, che sia per invidia o per la voglia di sostenere e di tirare il meglio fuori da quel qualcuno.
Qualche anno fa sei stata ospite del programma di Red Ronnie, nell’intervista confessi di non aver avuto esperienze televisive: è servito a qualcosa?
Intendi in termini di visibilità? Non ho notato cambiamenti importanti.
Hai dedicato un’illustrazione a ogni brano del tuo ultimo disco: hai lasciato carta bianca a Martha Ter Horst e l’idea è venuta a lei? Tendi ad avere il controllo totale della tua arte o ti lasci suggestionare dalle persone che ti stanno attorno?
L’idea venne a me, sono innamorata della tecnica utilizzata (1line, si disegna senza mai staccare la penna dal ‘foglio’, digitale o fisico) e della mano di Martha. Mi venne l’idea di un disegno per ogni canzone ma Martha scelse i soggetti e interpretò lei ogni simbolo. Mi piace fare di un disco qualcosa di più, qualcosa di rotondo, tridimensionale, ricco, qualcosa che sia un piccolo mondo. Mi piace avere il controllo della situazione generale ma mi affido anche tanto. Credo che dipenda comunque dalle persone con cui scegli di lavorare: più ci sono stima e fiducia più tutto diventa organico, nel senso proprio di un organismo che si muove, fatto di tante cellule diverse, ma tutte votate alla creazione di qualcosa di cui essere orgogliosi.
La fatidica domanda finale “progetti per il futuro” la lasciamo da parte. Però ci piacerebbe sapere dove e come collocheresti la tua musica immaginandoti in un futuro remoto, tra 20 o 30 o 40 anni.
Non ne ho la più vaga idea. Sono in un momento molto strano e critico, non saprei collocarmi nemmeno tra due anni. So dove vorrei collocarmi, però su una scala molto più grande di quella professionale. Vorrei collocarmi nella felicità. Poi quando ci vediamo ne parliamo, di cos’è la felicità. 🙂
Vi aspettiamo domenica 16 dicembre Da Emilia! Tutte le info QUI!