6 Maggio 2019 Michele

Avere vent’anni #2: CALIFORNICATION

Estate 1999, Cesenatico.
Piscina dell’hotel perché il Mar Adriatico era poco amato dai miei e comunque non è che sia mai stato degno di un atollo tropicale a prescindere.
Non so quante musicassette avessi con me, ma ascoltai “Californication” per tutta l’estate.
Ancora faccio fatica a spiegarmelo.

Ho provato ad approcciare i Red Hot Chili Peppers da tutte le angolazioni disponibili: niente da fare. Non li sopporto.
Non posso soffrire Anthony Kiedis, è una questione istintiva e non c’è modo che io possa tollerarne anche solo la vista. Reputo Flea un genio del basso, ma nel file “Flea” all’interno del mio cervello c’è soltanto la sua comparsata nel “Grande Lebowski”. Frusciante mi sta simpatico, è un chitarrista pazzesco e ho ascoltato anche con piacere qualche suo album solista: alla fine è l’unico che mi sta a cuore. Il batterista è Will Ferrell, no? No, Will Ferrell mi sta molto più simpatico.

Allora per quale motivo “Californication” lo so sostanzialmente a memoria?
Probabilmente perché avevo comunque 14 anni, probabilmente perché non è che fossi proprio il re del circondario e avessi tanto di meglio da fare: l’animazione turistica dell’albergo mi faceva soltanto diventare idrofobo (in questo avere “Californication” nel walkman e le cuffie sulle orecchie fu il diversivo perfetto durante i primi, e unici, tentativi di coinvolgermi nelle attività), amici non ne avevo essendo soltanto la seconda estate passata lì e in ogni caso sono sempre stato un coglione.
Per dire: una sera venni invitato per andare a prendere un gelato da due quattordicenni tedesche carine e biondissime. Io rifiutai. Non ricordo minimamente il perché di questa scelta, ma in quel momento ero sicuro al 100%, maledicendomi dal giorno dopo in poi soprattutto rendendomi sempre più conto che essere approcciati dalle ragazze in quegli anni non è esattamente roba da tutti i giorni.

“Californication” è un disco decente che mi piaceva moltissimo, col senno di poi troppo rispetto all’effettivo valore, ma è l’unico disco dei Red Hot che io riesca ad ascoltare, forse proprio perché mi ricorda le estati romagnole.
Riascoltato oggi è troppo sborone e smorfioso perché possa piacermi anche solo un decimo rispetto al passato. C’è solo un pezzo che salvo del tutto, forse anche per merito dei riferimenti all’espressionismo tedesco contenuti nel video:

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