22 Aprile 2019 Mattia

Non ascoltavo (solo) metal #1: Smash

Ricordo ancora molto bene la prima volta che ho sentito parlare di punk. Era alle macchinette automatiche delle bevande nel corridoio un po’ triste e molto squallido del liceo, in prima superiore (o quarta ginnasio se siete di quelli che tengono a questa distinzione un po’ rétro). Due o tre compagni di scuola parlavano di punk e metal e io, che ieri come oggi ero schivo, patologicamente asociale ma assai curioso, fremevo dalla voglia di capirne di più. Anche perché i miei ascolti fino a quel momento oscillavano tra Sottotono, Articolo 31 e le cassette di rock-folk- pop-beat di mio padre risalenti agli anni ormai già lontani della sua gioventù. Alla quarta volta che qualcuno diceva che il punk era davvero troppo figo presi il coraggio a due mani e chiesi, molto timidamente, che cosa fosse il punk (sic!). La risposta fu molto concisa e un filino fredda: è come il metal ma con le chitarre meno brabrabrang e più veloce. L’informazione non mi fu molto utile considerando che la cosa più metal che avevo sentito in quel momento era forse “Nine Lives” degli Aerosmith (che rimane in ogni caso un bel disco). Ringraziai e me ne tornai in classe a bere il mio thè freddo alla pesca, capendo al contempo che non sarei mai stato il più popolare del liceo e che di musica non ne sapevo davvero nulla.

Dopo qualche mese fu il momento della prima gita scolastica: Belgio e Bruxelles, un itinerario nei luoghi delle grandi battaglie della prima guerra mondiale. Un bel viaggetto sereno e divertente, insomma. Sul bus scolastico, tra un coro che se facciamo un incidente muore solo il conducente e l’altro, uno di quei compagni che parlava di punk alla macchinetta mi passò una cassetta: lato A “Smash degli Offspring, Lato B “Different Class dei Pulp dicendomi tiè così capisci cos’è il punk. Tralasciando che poi per un bel po’ pensai che anche i Pulp fossero considerati punk non capendone davvero il perché, dal momento in cui schiacciai play sul mio walkman Sony (colore violetto, per mantenere intatta l’aura di sfiga devastante) qualcosa dentro di me fece semplicemente clic. Perché non avevo mai sentito nulla del genere. Niente di così incazzato, veloce, potente e assolutamente figo. Ma soprattutto capii che Neffa e Sottotono potevano allegramente continuare a vivere nelle cuffie di qualcun altro e soprattutto che avevo forse trovato qualcosa che desse una ragione al mio sentirmi sempre così sbagliato e fuori luogo. Capii insomma che nel mondo c’era altra gente che si sentiva diversa dagli altri e che qualcuno di questi aveva tradotto questo disagio in musica, una musica bellissima inoltre.

A distanza di anni Smash rimane per me un ottimo disco, pieno di pezzoni evergreen accostati a qualche altra canzone un po’ meno riuscita e che dimostra di non aver tenuto troppo bene il tempo. Lo ascolto tutt’ora un paio di volte l’anno e mi fa sorridere in alcuni punti, per l’evidente ingenuità di alcune soluzioni, e prendere bene in altri. Qualcuno potrebbe dire che alla fine “Smash” non era e non è un capolavoro, che gli Offspring erano (anche se lo sarebbero poi diventati veramente solo con Americana qualche anno dopo) e sono tutt’ora una band di punk commerciale e che ci sono dischi ben più importanti nella storia della musica. Tutto vero, ma se quel ragazzino un po’ (tanto) sfigato di una ventina di anni fa non avesse sentito questo disco forse ora starebbe ancora ascoltando i Sottotono o le loro aberranti derivazioni odierne.   

Per il mondo probabilmente non sarebbe cambiato nulla, per me invece sì, eccome.
 
Smash is the way you feel all alone
Like an outcast you’re out on your own

SMASH – The Offspring
1994, Epitaph records

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